È il canone a determinare il valore di una concessione di servizi?

L’amministrazione aggiudicatrice che voglia ricorrere ad un affidamento di servizi tramite concessione è tenuta per legge ad indicare il valore presunto dell’affidamento sia per consentire un’esatta individuazione della soglia comunitaria, sia per permettere agli offerenti privati di produrre un’offerta seria che prenda in considerazione il potenziale bacino di utenza del servizio da affidare, i costi e i benefici correlati al servizio stesso (sulla ratio: delib. Anac n. 2457/2017).

Si tratta di un passaggio procedimentale che, tuttavia, all’atto pratico, mette in difficoltà le amministrazioni aggiudicatrici chiamate a quantificare detto valore soprattutto allorquando il servizio viene affidato per la prima volta, oppure perché il concessionario uscente non ha voluto fornire il relativo dato e, dato l’impasse, si tende allora a far collimare il valore dell’affidamento del rapporto concessorio con il valore del canone richiesto all’operatore in sede di gara.

Però la lettera della norma è chiara: l’art. 167 del D.Lgs. n. 50/2016 prevede che il valore della concessione ai fini della determinazione della soglia di rilevanza europea è costituito dal fatturato totale del concessionario generato per tutta la durata del contratto, al netto dell’IVA, quale corrispettivo dei servizi oggetto della concessione, nonché per le forniture accessorie a tali servizi.
Sulla scorta di ciò è stato quindi stigmatizzato l’operato delle stazioni appaltanti e degli enti aggiudicatori che abbiano proceduto al calcolo del valore della concessione ancorandolo – in via esclusiva – al parametro del canone di concessione.

E’ stato, infatti, chiarito che il valore della concessione:

a) non può essere ancorato unicamente al parametro del canone di concessione (Cons. Stato, Sez. III del 23.5.2017, n. 2411; delib. Anac n. 2457/2017);

b) non può essere computato con riferimento al c.d. “ristorno” e cioè al costo della concessione, che è un elemento del tutto eventuale, ma deve essere calcolato sulla base del fatturato generato dal consumo dei prodotti da parte degli utenti del servizio (Cons. Stato, Sez. III, 18.10.2016 n. 4343)

c) deve essere calcolato secondo un metodo oggettivo specificato nei documenti della concessione, indicando poi gli stessi elementi di valutazione, consentendo alle imprese di poter verificare anche i criteri utilizzati dalla stazione appaltante per la sua commisurazione (Cons. Stato, Sez. III, 18.10.2016 n. 4343);

d) “va parametrato al fatturato complessivo che si prevede possa derivare dalla fornitura dei servizi a favore della massa degli utenti. Non è quindi legittimo determinare tale valore prendendo come riferimento il canone dovuto dal concessionario, che peraltro rappresenta un elemento eventuale del rapporto concessorio. Questa modalità, infatti, non appare coerente con la natura della concessione di servizi, il cui tratto essenziale è che la controprestazione a favore del concessionario è costituita principalmente dai proventi della gestione del servizio (fatturato), che a sua volta rappresenta il nucleo centrale dell’istituto (Cons. Stato, Sez. III, 18.10.2016, n. 4343)” (delib. Anac n. 2457/2017).

In conclusione, il canone “potrà essere computato ove previsto”, pur non potendo costituire “l’unica voce indicativa del valore della concessione” (cfr. Cons. Stato, 30-12-2020, n. 8505; delib. Avcp n. 9 del 25 febbraio 2010), che necessariamente dovrà essere ancorato ad un giudizio (anche prognostico) dell’amministrazione sul fatturato complessivo ingenerato dal rapporto concessorio.

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