È ancora discussa, nella giurisprudenza e nella prassi amministrativa, l’operatività della c.d. “scia in sanatoria” prevista dall’art. 37, D.P.R. 380/2001.
In particolare, la norma distingue la scia in sanatoria ad intervento concluso (art. 37, comma 4) che prevede che il responsabile dell’abuso o il proprietario dell’immobile possano ottenere la sanatoria dell’intervento ove sussista la doppia conformità (l’intervento realizzato deve risultare conforme tanto alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento della realizzazione dell’intervento, quanto a quella vigente alla presentazione della domanda), versando una somma il cui valore è stabilito dal responsabile del procedimento (non superiore a 5.164 euro e non inferiore a 516 euro), dalla scia in sanatoria presentata con intervento in corso di esecuzione (art. 37, comma 5) che comporta il pagamento, a titolo di sanzione, della somma di 516 euro.
Tuttavia, a differenza di quanto previsto per l’accertamento di conformità di cui all’art. 36, D.P.R. 380/2001 per il quale, in caso inerzia a seguito della presentazione della domanda, è la stessa norma che qualifica espressamente l’eventuale silenzio dell’amministrazione come diniego, l’art. 37, D.P.R. 380/2001 nulla dispone sul punto.
In assenza di un chiaro dato normativo, la giurisprudenza si è spesa (e, purtroppo, si spende) nelle pronunce più disparate.
Secondo un primo filone giurisprudenziale “il silenzio sull’istanza di sanatoria di cui agli artt. 36 e 37, comma 4, D.P.R n. 380/2001” sarebbe da qualificarsi come silenzio rigetto, pertanto, anche qualora la procedura del c.d. accertamento di conformità sia esperita in relazione ad intervento edilizio oggetto di s.c.i.a., e non come nel caso dell’art. 36 cit. di permesso di costruire, “la mancata pronuncia dell’amministrazione sulla relativa domanda entro sessanta giorni dal suo ricevimento ha il valore di diniego tacito della sanatoria» (cfr. TAR Milano, Sez. I, 21.3.2017, n.676; TAR Campania, Sez. III, 18.5.2020, n.1824; T.A.R. Campania, Sez. II, 10.6.2019, n.3146).
Il corollario processuale di tale ipotesi interpretativa non è di poco momento. Ne scaturisce, infatti, un onere di impugnazione, da parte del privato interessato, qualora, a fronte del decorso del termine, non vi sia una pronuncia espressa della P.A. procedente, onde evitare il consolidamento della posizione lesiva a proprio sfavore.
Un secondo distinto orientamento ritiene, invece, che il procedimento possa ritenersi favorevolmente concluso per il privato solo allorquando vi sia un provvedimento espresso dell’amministrazione procedente, pena la sussistenza di un’ipotesi di silenzio inadempimento: “non può ravvisarsi nella fattispecie di sanatoria di cui all’art. 37 del d.P.R. n. 380/2001 un’ipotesi di silenzio significativo in termini di accoglimento, dal momento che il suddetto art. 37 non solo non prevede esplicitamente un’ipotesi di silenzio significativo, a differenza dell’art. 36 del medesimo d.P.R. n. 380/2001, ma al contrario stabilisce che il procedimento si chiuda con un provvedimento espresso, con applicazione e relativa quantificazione della sanzione pecuniaria a cura del responsabile del procedimento; (…) Dalla lettura della norma è evidente che la definizione della procedura di sanatoria non può prescindere dall’intervento del responsabile del procedimento competente a determinare, in caso di esito favorevole, il quantum della somma dovuta sulla base della valutazione dell’aumento di valore dell’immobile compiuta dall’agenzia del territorio” (cfr. TAR Roma, Sez. II quater, 9.4.2020, n. 3851; TAR Salerno, Sez. II, 23.8.2019, n.1480; TAR Napoli, Sez. III, 23.5.2019, n.2755).
Il corollario processuale di tale ipotesi interpretativa, pertanto, si sostanzia nella facoltà/dovere, per il privato istante, di accedere al meccanismo processuale dell’azione contro il silenzio per censurare la condotta lesiva dell’amministrazione inerte da parte del privato interessato.
L’orientamento maggioritario e prevalente è tuttavia (fortunatamente) nel senso di ritenere che il silenzio della PA debba qualificarsi come assenso.
Secondo tale orientamento, in particolare: «la SCIA in sanatoria, presentata ex art. 37 D.P.R. n. 380 del 2001, si presta a rendere operanti le correlate prescrizioni di cui all’art. 19 e ss., legge n. 241 del 1990, in materia di silenzio assenso, dovendo essere ragionevolmente riconosciuto a tale segnalazione carattere e natura confessoria, diretta a provare la verità dei fatti attestati e a produrre, con l’inutile decorso del tempo per l’emanazione di provvedimenti inibitori, effetti direttamente stabiliti dalla legge, indipendentemente da una diversa volontà delle parti, ossia l’avvenuta formazione del titolo abilitativo in sanatoria» (TAR Catanzaro, Sez. II, 30.3.2020, n. 507; CGA, 19.3.2020, n. 192; TAR Roma, Sez. II, 09.1.2018, n. 156; TAR Napoli, 9.12.2019, n.5789).
Quest’ultima tesi – secondo la quale al decorso del termine senza l’assunzione di provvedimenti inibitori (o di richieste documentali) da parte dell’Amministrazione consegua il consolidamento della posizione a favore del privato istante, con la conseguenza che, oltre il termine, sia concesso all’Ente solo l’esercizio del potere di autotutela – trova anzitutto riferimento nell’interpretazione sistematico-evolutiva delle norme.
Il cd. “Decreto SCIA 2” (D.Lgs. n. 222/2016) e, specificamente, la tabella allegata, sezione II, punto 41 ha difatti indicato la s.c.i.a. quale regime autorizzatorio applicabile alle ipotesi di accertamento di conformità ai sensi dell’art. 37 D.P.R. 380/2001, definendola appunto “scia in sanatoria”. La parte esplicativa della ridetta tabella specifica che, in tal caso, si intenda effettuato un rinvio alla disciplina della s.c.i.a. di cui all’art.19, L. n.241/90: se l’amministrazione non si pronuncia entro trenta giorni, pertanto, l’effetto sanante si produce grazie alla formazione del silenzio assenso di cui all’art. 19, L. n. 241/1990, senza necessità di un provvedimento espresso da parte dell’amministrazione.
Peraltro, solo accedendo a detta impostazione interpretativa sistematica ed evolutiva, si riesce a garantire il principio della certezza e della stabilità dei rapporti giuridici, che, in una materia, quale quella edilizia, dalla quale possono conseguire anche risvolti penali per il caso di lottizzazione abusiva, si capisce bene come sia un bene primario da tutelare a favore dei cittadini.
Se poi le Amministrazioni, in concreto, non riescano – come sembra a chi scrive il vero motivo che consenta di avallare i primi due orientamenti giurisprudenziali – ad evadere nel breve termine di 30 giorni dalla sua presentazione, la pratica di sanatoria edilizia, detta finalità “organizzativa” deve trovare tutela mediante un intervento legislativo che chiarisca l’eventuale diversa portata della norma (e cioè dell’art. 37, d.p.r. n.380/2001), ma non può essere perseguita, in modo mediato, mediante un orientamento giurisprudenziale a tal punto ondivago da esautorare l’effettiva possibilità di ricorso a detto modello procedimentale, in ragione dell’indeterminatezza dei suoi effetti.
Milano, 13 luglio 2020
a cura di avv. Carola Ragni
(con la collaborazione dell’avv. Giulia Parenti)